Sebbene stia massacrando i palestinesi senza pietà la situazione per Israele è disperata. Il governo Netanyahu voleva disperatamente la tregua che è appena fallita. Nelle ore precedenti al rifiuto di accettare le condizioni dei palestinesi, il governo israeliano aveva avviato furiosi colloqui con l’opposizione per esplorare la possibilità di accettare la tregua, cosa che avrebbe causato le dimissioni di tutti i ministri dell’estrema Destra, e sostituire le defezioni con l’opposizione. Netanyahu, politicamente finito, ha posto una sola condizione: doveva essere lui a guidare il nuovo governo almeno per un anno.
L’accordo non si è fatto e Bibi è rimasto con i suoi attuali compagni che gli hanno chiarito che non esisterà più un governo se la guerra si fermerà ma la disperazione con cui Netanyahu ha cercato un accordo, persino umiliandosi nell’attesa della risposta dei palestinesi, è significativa. Israele è strangolata da una crisi economica devastante e una altrettanto devastante sconfitta militare.
Tel Aviv ha dovuto smobilitare alcune delle sue riserve in parte perché ha bisogno di lavoratori con cui sostituire i palestinesi confinati nella Cisgiordania, in parte perché queste riserve erano state sottratte appunto al sistema produttivo. La crisi sta mordendo le caviglie della società israeliana che fa i conti con prezzi, anche del cibo, sempre più alti a causa dei numerosi blocchi marittimi e boicottaggi. Deve fare i conti con i soldati che rientrano dalla guerra in condizioni pessime, spesso con disordini post-traumatici e continuano ad essere mine vaganti che possono esplodere nelle vite comuni. Deve assorbire il dramma di circa, secondo il quotidiano israeliano Yedioth Ahronoth, di circa 13mila vittime tra i soldati, che siano morti o feriti ed invalidi.
Il governo Netanyahu sta già contemplando la chiusura di alcune agenzie nazionali e pesanti tagli alla Sanità per riuscire a finanziare una guerra che anche gli Stati Uniti cominciano a non potersi più permettere, in difficoltà come sono in Ucraina e con le loro scorte persino di armi. La situazione sul campo di battaglia è già drammatica e Israele sta fronteggiando una vera guerra solo contro Gaza. Sebbene Hezbollah, infinitamente più potente di Gaza, stia infliggendo pesanti perdite ad Israele e abbia già causato lo sfollamento di almeno 200mila persone dal Nord, la milizia libanese non sta affatto usando il suo potenziale e non è ancora entrata in guerra, come non lo ha fatto la Siria e nemmeno l’Iran.
Il paese è sull’orlo di un collasso interno, con almeno 30mila israeliani che sono fuggiti solo nell’ultima settimana e si aggiungono alle centinaia di migliaia che sono già all’estero. A questo si aggiunge il clima surriscaldato in Cisgiordania, dove le probabilità che i palestinesi si uniscano alla lotta di Gaza sono elevatissime. Netanyahu aveva chiesto qualche settimana agli Emirati Arabi di pagare gli stipendi a tutti i palestinesi della Cisgiordania, allontanati dai loro lavori dopo l’inizio della guerra, ricevendo un determinato rifiuto da parte della UAE.
Oggi è arrivato anche il downgrade di Moody’s, il primo che Israele subisce da quando esiste: mai il paese era stato declassato finanziariamente da nessuna agenzia di rating. Per Moody’s, l’outlook è “negativo” da “neutrale” che era.
In questo clima la guerra non si può fermare e deve andare avanti. Israele non ha più modo di vincere ma non può neanche perdere e, non sapendo cosa fare e come farlo, pensa che a questo punto la destabilizzazione di tutto il Medio Oriente sia l’unico modo per farla franca. Progetta l’invasione del Libano ed ha deciso di attaccare Rafah per mettere pressione alle fazioni palestinesi e costringerle ad accettare un altro accordo ma così facendo sta andando a svegliare anche il cane egiziano che dorme.
Al-Sisi non ha nessuna voglia, né i soldi, per fare una guerra contro Israele (ha appena dovuto vendere una intera città agli Emirati per 22 miliardi in modo da fronteggiare la crisi economica e della valuta) ma l’invasione del Corridoio Philadelphi e, soprattutto, il tentativo di spingere i profughi palestinesi nella Penisola del Sinai sono inaccettabili per l’Egitto che solo qualche giorno fa ha fatto sapere che “se un solo profugo palestinese sconfinerà nel Sinai, il trattato di pace tra i due paesi sarà cancellato”. Minaccia reale? Al-Sisi potrebbe non essere in grado di fronteggiare da un lato la sua popolazione e, dall’altro, le sue elite che non vogliono una ondata di profughi nel paese.
Netanyahu si mostra deciso per la stampa ma i segnali sono già quelli della disperazione. Israele non ha raggiunto nessuno dei suoi obbiettivi in 4 mesi di guerra e le possibilità che lo faccia da qui in poi sono minime, se non nulle.
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