Ogni volta che si avvicina la risposta iraniana all’attacco, sebbene ridicolo, portato contro Teheran settimane fa Israele cerca di avviare il processo per raggiungere l’accordo sul cessate-il-fuoco con i palestinesi di Gaza. Importanti progressi sono stati raggiunti negli ultimi giorni ma dare l’accordo per vicino è molto difficile perché Israele usa i negoziati per prendere tempo ed in particolare per scongiurare ed allontanare l’attacco iraniano, il cosiddetto True Promise 3.
Ad avvicinare l’accordo c’è però l’oggettiva difficoltà in cui si trova ormai Israele che, sconfitta in Palestina ed Libano, ha cercato di capitalizzare la situazione siriana occupando porzioni importanti del territorio di Damasco dopo l’uscita di scena del governo. Tel Aviv è però ormai quasi in ginocchio dal punto di vista finanziario e troppo esposta sul terreno. I soldati israeliani continuano a morire a Gaza dopo un anno e mezzo (8 sono morti in un singolo attacco giusto ieri), Hezbollah per bocca del suo nuovo segretario ha dichiarato che “un minuto dopo” la scadenza del cessate il fuoco, se Israele sarà in Libano, ritornerà a combatterla e le cose si fanno difficili sia in Siria che nei confronti dell’Iran.
Teheran è stata fino ad adesso bloccata dal nuovo governo molto moderato che non ha consentito, con la scusa dei negoziati prima, della crisi siriana poi e di nuovo adesso per i negoziati su Gaza, di completare la ritorsione militare contro Israele ma il malcontento, non solo dei militari quanto anche della popolazione, sta montando e il governo non riuscirà ad impedire la ritorsione per molto. Un eventuale cessate il fuoco potrebbe consigliare all’Iran di non toccare lo status quo per adesso.
Dal canto suo Israele è in ginocchio sotto tutti i punti di vista. Da quello militare è ormai troppo diluita in decine di operazioni molte delle quali stanno andando malissimo. Gli unici successi riportati sono quelli in Siria in cui non combatte contro nessuno dato che il nuovo governo è succube ed alleato e comunque impegnato in affari più importanti in questo momento. Gli eventi in Siria, sui quali Israele non ha avuto alcuna influenza, le hanno consentito di trasformare una serie di devastanti sconfitte in un dolore quasi accettabile.
Nel prossimo futuro se Israele vuole consolidare l’occupazione in Siria e rispondere all’attacco dell’Iran deve necessariamente fermare la guerra a Gaza, dove continua a perdere decine di soldati ogni settimana, ed in Libano dove Hezbollah ha completato al fase di rifornimento e riorganizzazione. In più ha il problema della Cisgiordania, senza contare i problemi interni.
La guerra ad Israele è già costata 250 miliardi di shekel, circa 66 miliardi di dollari fino al 2024 e questo conteggio include solo i costi diretti della sicurezza, i più importanti costi civili e la perdita diretta di introiti. Non riflette i veri costi della guerra né i costi che a cui sarà soggetta per la normalizzazione della situazione. Un accordo è necessario perché mantenere aperti tutti i fronti potrebbe essere fatale.
Secondo le indiscrezioni Tel Aviv e le fazioni palestinesi sono vicine ad un accordo per il cessate il fuoco che partirebbe da 45 giorni di stop a tutte le azioni militari da entrambe le parti e dall’avvio del rilascio delle prime 30 donne attualmente arrestate dai palestinesi, per le quali Israele si impegna a rilasciare circa 1.000 ostaggi. Per le 5 donne soldato dell’Esercito israeliano, verranno rilasciati molti palestinesi condannati all’ergastolo dall’occupazione mentre per gli altri detenuti in mano ai palestinesi di età compresa tra 18 e 50 anni, verranno rilasciati altri ostaggi palestinesi.
La novità è che le fazioni di Gaza avrebbero accettato di non vedere liberate le figure più importanti che avevano chiesto tra cui Mawan Barghouti e Ahmad Sa’adat ma attendiamo conferma. Le persone più importanti che verranno liberate da Israele, che non potrà riarrestarle subito dopo, non rimarranno a Gaza ma si dovranno spostare in Turchia o Qatar.
Ritiro completo da Gaza, invece, per l’esercito israeliano che manterrà delle aree cuscinetto di 5-700 metri all’uscita di Gaza, incluso il Corridoio Philadelphi che verrà gestito insieme da Egitto e Israele. Un ulteriore area larga un chilometro sarà temporaneamente operativa nei pressi del centro di Gaza, a Juhor ad-Dik.
Israele accetta il rientro di tutti i profughi nelle loro case, incluso il Nord, previa ispezione da parte di terze parti. Il valico di Rafah verrà riaperto il 7° giorno dell’accordo per consentire l’uscita di tutti i feriti che richiedono cure importanti e l’accesso agli aiuti, co-gestiti sempre da Israele e Egitto.
Soprattutto, Israele capitola completamente sulle fazioni palestinesi. Nessun disarmo, nessuna deposizione delle armi. Hamas e le altre fazioni rimangono Resistenza armata senza condizioni.
L’accordo serve ad Israele per prendere fiato e serve a Trump per presentare una vittoria durante la sua inaugurazione e confermare la sua intenzione di arrestare le guerre.
Il risultato di un anno di guerra è che la Resistenza a Gaza ed in Libano rimane armata, attiva ed ha costretto l’occupazione non solo a cocenti sconfitte militari, nonostante nessun paese arabo sia accorso in aiuto dei palestinesi, ma ne ha comportato l’isolamento sulla scena internazionale e la condanna quasi unanime.
Ancora oggi, due riservisti israeliani sono stati arrestati per crimini di guerra in Messico e a tutti i soldati israeliani è consigliato di non viaggiare e rimuovere dai loro social network qualsiasi riferimento alla guerra ed alle azioni.
Netanyahu conosce bene il significato di questa sconfitta e sa che da oggi inizia un countdown verso azioni ben più forti di quelle che ci sono state negli ultimi 18 mesi tanto che gli ufficiali israeliani hanno già anticipato che ritengono possibile azioni come quelle del 7 Ottobre anche se non probabili a breve termine. La Siria ha salvato Israele da una sconfitta su tutta la linea e consente al premier di presentare qualche successo ai suoi.
La situazione però resta complicata e le nuove tensioni con l’Egitto ed il prossimo attacco iraniano consigliano molta prudenza. Israele non si salverebbe da una ripresa di uno qualsiasi di questi conflitti e le possibilità che a questo punto non deflagrino tutti insieme cominciano ad essere basse.
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