Le leggi internazionali proibiscono lo sfruttamento delle risorse di aree contese, fino a quando la disputa non sia risolta. Il Venezuela non ha mai accettato l’arbitrato del 1899 che assegnava alla Guyana l’area di Esequibo che in tutte mappe precedenti era parte del Venezuela.
Ad esempio, una mappa britannica del 1841 mostra chiaramente l’area contesa come parte del Venezuela:
Ancora prima, nel 1777, un’altra mappa mostrava l’area di Esequibo, l’area fino al fiume Esequibo appunto, come confine orientale del Venezuela:
In ogni caso, l’area è contesa tra i due paesi e per questa ragione non è sfruttabile da nessuno. Gli Stati Uniti hanno rotto l’equilibrio usando Exxon Mobil per stabilire un accordo con la Guyana. Un accordo certamente poco conveniente per il paese sudamericano dato che stabilisce una ripartizione degli utili decisamente sbilanciata: il 98% andrà ad Exxon Mobil e solo il 2% rimarrà alla Guyana.
Non solo: le spese legate all’inquinamento ambientale saranno a carico di Georgetown. I giacimenti marini si trovano in massima parte nell’area contesa ed in parte minore nell’area sicuramente di competenza della Guyana.
Aver schierato le sue aziende per derubare i sudamericani delle loro risorse ha fatto precipitare la situazione, con il Venezuela che ha deciso di procedere alle vie di fatto riprendendosi l’area contesa e preparandosi, prima che lo faccia Exxon Mobil, a sfruttare le risorse petrolifere.
Con questa mossa gli Stati Uniti ottengono un doppio risultato: il primo è ovviamente quello di tentare di appropriarsi di risorse petrolifere di cui hanno bisogno non tanto per l’estrazione immediata, quanto in prospettiva. Hanno bisogno anche di ridurre il costo del petrolio per ripristinare le risorse strategiche che hanno sperperato per mantenere bassi i costi energetici nel paese. Da mesi Washington cerca di ripristinare queste riserve ma non ci riesce perché il costo del greggio è ancora troppo alto.
Il secondo obbiettivo raggiunto è quello di iniziare a creare quella instabilità che servirà agli USA per progettare un intervento militare. Che cosa c’è di meglio che una disputa territoriale che possa essere fatta passare per una invasione per iniziare a dispiegare le proprie forze del continente? E per mettere nel mirino quel Venezuela che è forse il nemico principale degli USA in Sud America e che ha immense risorse naturali che gli Stati Uniti da decenni cercano di controllare.
Di questo parla amabilmente il Generale Laura Richardson, comandante del Southern Command, il centro di comando militare dell’Esercito USA che ha in carico il Sud America. Fa una certa impressione ascoltare un generale che parla di contratti e accordi economici come se fossero una sua responsabilità. Lo fa perché in effetti sono una sua responsabilità dato che i militari hanno ovviamente come obbiettivo principale quello di assicurare il controllo del risorse naturali dell’area obbiettivo e garantire lo sfruttamento agli Stati Uniti:
La Richardson ci spiega tutto quello che dobbiamo sapere:
“Il petrolio più leggero che è stato scoperto lungo le coste della Guyana. Quella è l’Economia con la crescita più veloce, dato che la stima della crescita del PIL per i prossimi 5 anni è del 25%. Il petrolio più pesante in Venezuela.
Con tutto questo potenziale io andrei a cercare le risorse della regione. Oltre il 50% della soia nel mondo viene da questa regione. Oltre il 30% della carne più dolce e del mais viene da questa regione. Come possiamo aiutare questa regione a raggiungere il suo potenziale di sfamare e alimentare il mondo con l’energia che possiede?
Ma quando parliamo di queste risorse che sono lì e ci chiediamo il perché degli investimenti e tutte le infrastrutture critiche del nostro avversario strategico, la Repubblica Popolare Cinese… allora perché sta accadendo? Beh, le risorse sono lì. Questo megaporto che la Cina sta costruendo in questo momento a nord di Lima, in Peru ridurrà di 15 giorni il tempo di trasporto del cibo. Loro acquisiscono il 36% di tutto il loro cibo da questa regione e questo porto ridurrà di 15 giorni il transito, da 35 a 20 giorni.
Non dovranno passare dal Messico o da San Diego prima di arrivare in Cina. Sarà un transito diretto. Perché succede? Beh, questo è il piano della Cina, il transito verso l’Asia. Ma dove è la nostra soluzione alternativa per tutte le infrastrutture critiche? Perché non stiamo competendo sui contratti e sugli appalti che questi paesi indicono? Perché lo fa solo la Cina?
Come possiamo mobilitare il Team USA per avanzare e competere su questi contratti? Direi con l’annuncio dell’APEC da parte dell’Amministrazione [presidenziale USA], l’American Partnership for Economic Prosperity, con cui 12 leader dell’America Latina sono stati portati [dice proprio “portati” NdT] alla Casa Bianca il 3 Novembre. E miliardi di dollari sono stati canalizzati nell’Emisfero attraverso la Inter-American Development Bank e la Developmental Finance Corporation, proprio per le infrastrutture critiche che sono enormi. E’ un inizio.
Ma dobbiamo fare di più. Dobbiamo raddoppiare gli sforzi e dobbiamo riconoscere l’importanza di questa dottrina per la sicurezza dell’emisfero, dobbiamo mettere il piede sul pedale del gas e raddoppiare gli sforzi.
Questa è una chiamata all’azione.”
Fa impressione quando un comandante militare parla come un manager ma questa è la situazione.
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